Il sistema di accensione a miccia a lenta combustione del 1400 portò allo sviluppo del più efficiente fucile a miccia. Le prime testimonianze di quest’arma risalgono al 1470.
Il fucile a miccia aveva una sorta di braccio di ferro curvo fissato all’arma. Questo braccio, chiamato serpentina, girava su un perno centrale ed era collegato a una leva di ferro sotto il supporto di legno dell’arma: può essere considerato l’antenato della moderna leva di sparo.
La procedura di caricamento era abbastanza complessa e quasi rocambolesca, ma per l’epoca era il non plus ultra della tecnologia:
- il tiratore metteva la sua arma in posizione verticale ed inseriva una certa quantità di polvere da sparo nella canna (tubo metallico)
- la polvere veniva quindi accuratamente spinta e pressata con una bacchetta sul fondo della canna
- poi si infilava il proiettile, che a sua volta veniva calcato all’interno con la stessa bacchetta
A questo punto l’arma era pronta per fare fuoco: una miccia accesa veniva portata verso il “focone”, ovvero il forellino, per incendiare la carica.
Una versione più moderna del fucile a miccia prevedeva uno scodellino d’innesco sul retro della canna per facilitare l’operazione di accensione: il fuciliere collocava un pizzico di polverino (polvere da innesco) nello scodellino; quando la leva veniva pressata contro il supporto, la serpentina girava attorno al proprio asse ed accostava la miccia incandescente allo scodellino d’innesco, vicino al quale c’era una piccola apertura che permetteva al fuoco di raggiungere la carica vera e propria sul retro della canna. Questo fuoco incendiava la carica di polvere da sparo all’interno della canna (non esistevano ancora le camere di scoppio) e generava una pressione di gas che faceva fuoriuscire il proiettile con forza. Con il miglioramento delle tecniche, nei modelli successivi, la serpentina sarà provvista di una molla a balestra.
Quando la serpentina era piegata all’indietro, era bloccata da un gancio e quando questo gancio veniva lasciato andare, la molla faceva sì che la serpentina stessa si spostasse in avanti. A quei tempi, la leva per fare fuoco era spesso sostituita da un pulsante che sbloccava il gancio. Questo fu in seguito rimpiazzato dalla leva di sparo o più comunemente detta “grilletto”.
La ricarica era fortemente condizionata dalle condizioni atmosferiche tanto che una forte raffica di vento poteva far volare via la polvere da sparo dallo scodellino d’innesco, così come l’accensione risultava particolarmente difficile con la pioggia.
Queste problematiche limitanti hanno portato all’evoluzione dei modelli del XVII secolo: sempre con scodellino, ma dotati di coperchio, così che quando il fuciliere avesse dovuto usare l’arma, avrebbe semplicemente fatto ruotare o piegare il coperchio dello scodellino d’innesco in modo che la miccia potesse raggiungere la polvere da sparo.
Già all’inizio del 1600 i soldati noti come moschettieri indossavano bandoliere con contenitori che tenevano quantità predeterminate di polvere, anche perché l’uso di corni e fiaschi da polvere più grandi non era molto sicuro: molti fucilieri che usavano i corni per ricaricare l’arma, venivano gravemente feriti dalle ustioni causate dalla fuliggine che bruciava senza fiamma nelle canne, dando anticipatamente fuoco alla polvere da sparo. In seguito ai numerosi incidenti, si era giunti alla conclusione che la miscela esplosiva usata in porzioni più piccole era molto più sicura ed evitava problemi davvero facilmente evitabili.
Il passo successivo dell’evoluzione delle armi da fuoco fu il meccanismo con acciarino a ruota: questo sistema di accensione, che sostituì quello a miccia, era stato in realtà concepito già da Leonardo da Vinci (all’inizio del XVI secolo egli scrisse il “Codex Atlanticus”, nel quale compaiono schizzi di un acciarino a ruota) ed i primi tipi di tale meccanismo vennero impiegati alla fine del quindicesimo secolo.
Il funzionamento degli acciarini per fucili di Leonardo può essere paragonato a quello di un accendino: una ruota zigrinata comandata da una molla, che sfregava una pietrina creando delle scintille.
Prima che l’arma potesse essere usata, la molla doveva essere caricata, cioè avvitata girando una chiave e bloccata da un dente. Quando la molla era carica, il cane era piegato all’indietro e, premendo il grilletto, si sbloccava la ruota zigrinata; il cane con la pietrina veniva in contatto con la ruota e questa, girando molto velocemente sfregava la pietrina, producendo una pioggia di scintille che incendiavano la polvere da innesco.
L’acciarino a ruota era però un meccanismo complesso e costoso e per di più era facilmente condizionato dallo sporco che poteva causare l’inceppamento dell’arma: non sorprende quindi che le armi di questo periodo avessero talvolta due diversi sistemi di fuoco.
Nel corso dei secoli XVI e XVII verranno costituiti ed armati diversi reparti di moschettieri ma il loro armamento ed il loro equipaggiamento era piuttosto costoso e la costante ricerca di una soluzione più semplice ed economica portò allo sviluppo del sistema di accensione “snaphaunce”, di cui parleremo nel prossimo articolo e che a sua volta sarebbe stato sostituito rapidamente dal meccanismo a pietra focaia.